venerdì 22 dicembre 2023

Per Mauro. Un anno dopo.


Che jella!

Andarsene alle porte del Natale. Ti piaceva tanto Mauro! Non l'avresti mai confessato ma io so che ti piaceva. Era la tua parte bambina.

Ti piacevano anche gli animali. Raccontavi sempre di quanto, nel tuo viaggio di formazione in vespa, alla fine delle superiori, salvasti una cucciolata di gattini buttati sul ciglio della strada. Te li infilasti nella giacca pesante, per ripararli dal vento. Ne sopravvisse uno che conobbi tempo dopo.

Per non parlare di quanti cani e gatti abbiamo recuperato negli anni del nostro sodalizio artistico. Che termine pomposo sodalizio, però rende.

Oggi è un anno esatto. Non so se davvero abbia realizzato fino in fondo il fatto che non ti rivedrò più. Mai più!

E' così retorico il mai più. Fa melò. E qui non posso non pensare a Melodrama. La nostra bizzarra creatura dai due volti, quello musicale e quello teatrale. Figlia di sintonie sottili, incomprensibili ai più. Non era solo l'essere musicisti che ci accomunava.

Erano anche l'abilità nel dipingere, nel progettare le cose, le vedevamo, intendo prima ancora che esistessero. Avevi fatto il liceo artistico, io no ma in certe faccende me la sono sempre cavata .

E c'erano il senso del gioco e del magico, lo percepivamo un po' ovunque.

Tu poi eri nato in una città splendida, Genova, in primavera sotto il segno dell'Ariete, in un palazzo labirintico, un ex convento che affacciava sulla via del Sale. Su su dal mare sino all'oriente. E oltre. Sino alla luna!

Poteva essere il tuo motto.

Ricordo un pomeriggio di questo periodo, la città fredda e le nuvole che correvano, con quell'incanto che solo le città di mare...

Bevemmo una cioccolata con la panna, allora la panna a Genova la tenevano in certe alzate di metallo, esposte in verina, da far inorridire rispetto alla normativa attuale. Era buonissima!

Andammo poi in una sala che oggi non c'è più, nei quartieri eleganti e borghesi, quelli della zona alta, lontani dal porto, dalle sue puzze, dai suoi rumori. Andammo allo spettacolo pomeridiano, costava meno, tu sulle questioni economiche ottemperavi un pochino lo stereotipo sui genovesi. Non avertene a male se lo scrivo.

Davano "Fanny e Alexander" di Ingmar Bergman.

Il nostro film.

Anzi Fanny e Alexander eravamo noi due.

Due bambini dagli occhi diversi.




E quante scoperte abbiamo fatto insieme, qualcuna magnifica e altre terribili. Le ore di studio, i momenti di scoraggiamento, la rabbia, le speranze non realizzate, la cupidigia e lo sfruttamento di chi gestisce i prodotti del nostro ingegno, come viene definito il nostro fare, da qualche parte della costituzione, il disprezzo dei babbani che non capiscono il nostro lavoro a meno che tu non sia ricco e famoso. 

Per un qualche periodo ricco e famoso lo sei stato, ci siamo incontrati quando eri  appena entrato nei Matia Bazar, gruppo molto ufficiale della musica leggera anni 80, loro erano così adulti però e tu mi sembravi incredibilmente giovane, sprovveduto, non era solo una questione anagrafica. 

Il nostro lungo viaggio invece, quello che ci ha portato a Cuba, in Grecia e in Germania e.in altri posti ancora, non era fatto per attirare denari e glorie facili. 

Per ora ho chiuso. Addio Maestro. Per me però non eri un maestro ma un fratello. Mio fratello. Arrivederci!


mercoledì 20 dicembre 2023

Non si uccidono gli abeti a Natale


Non esattamente a Natale ma quasi in Avvento.

La vittima? Un esemplare di Picea Pungens Glauco, pur non essendo autoctono si era adattato benissimo al disgraziato clima lomellino. Mezzo secolo abbondante di resistenza a parassiti, calure e dabbenaggine umana. A modo suo un eroe.

Le ragioni del fattaccio?

Non pervenute. 

Non mi pare che l'abete fosse troppo vicino alle abitazioni, né che portasse umidità o minacciasse la stabilità della casa stessa e di quelle intorno.

 Insomma una vittima innocente. Di solito le vittime lo sono.

Il Picea eccetera eccetera. è una conifera, piante tra le più antiche del pianeta, di dimensioni spesso ragguardevoli, talvolta gigantesche e, il sotto, la radice, è pari a quel che si vede sopra. 

Larice a parte le conifere sono dei sempre verdi e questo le rende un po' incantate, simboli di speranza nel momento più buio e freddo dell'anno. Alberi sacri insomma. 

L'abete per i popoli dell'Occidente, è divenuto l' albero per  eccellenza del solstizio invernale. L'albero del Natale. 

O  Tannenbaum (O verde abete) si canta con sentimento in una celebre canzone legata alle feste della luce.

I picea sono longevi, questo era giovincello, nato  negli anni settanta dell'altro secolo. 

A quell'epoca la Lomellina era già più o meno come oggi, inquinamento, agricoltura chimica devastante, degrado, spopolamento, qualcuno però si prendeva qui una seconda casa per andare a funghi in autunno e a pesca. Non deve stupire, non si stava poi male anzi, quando in città si soffocava da queste parti si si dormiva  quasi al fresco. Erano soprattutto quelli delle seconde case a mettere certe piante, forse per disfarsi dell'albero di Natale che nell'urbe era difficile da smaltire.

Molti degli abeti della zona credo siano alberi di Natale che hanno avuto fortuna.. 

Il nostro abete di corte forse aveva una storia del genere. In ogni caso era meraviglioso. 

Meraviglioso per maestosità e per altezza e per ricchezza della chioma. Meraviglioso il  profumo che spandeva nel dopo pioggia,  ti portava altrove. Qualsiasi luogo sia altrove. Meravigliose l'ombra e il sollievo che elargiva, sin dalle prime ore del pomeriggio, nei momenti più torridi dell'estate. 

E, di estati torride, ne abbiamo avute, in questi ultimi anni. Da un pezzo non si dorme più al fresco rispetto alla città. E le seconde case vanno in rovina. 

L'abete era l'anima compassionevole del posto, lo spirito, il genius loci. Ora quest'anima è perduta, non c'è rimedio, e terribile a vedersi  è il paesaggio. Un paesaggio di guerra.

E un'estate ancor più bollente ci aspetta nell'anno che verrà. Non c'è rimedio ripeto, si dovesse anche mettere a dimora un nuovo albero, prima che raggiunga le dimensioni dell'altro, saremo tutti morti e sepolti. per quel che ci riguarda il vecchio è insostituibile. 

Al nostro arrivo gli abeti erano molti, scegliemmo la casa dove abitiamo d'istinto, per il fuoco che ardeva nel camino e per quel folto d'alberi, ci pareva di venire a vivere  al limitare di un bosco segreto. Come in certe fiabe. Poco importava se quell'illusione,  in senso materiale, non appartenesse a noi ma al vicino. Non ci si pensava. la bellezza, in un certo senso, è di tutti. 

Poi venne la ruspa e  sradicò e spianò tutto quanto.. 

Famiglie di ricci fuggivano terrorizzate, salvammo appena in tempo un cucciolo sballottato di mano in mano con  il proposito zuccheroso, e niente realistico, di portarlo  prima o  poi dalla sua mamma. Scoprimmo così che, molto spesso, chi viene dalla città non  ha le idee chiare sui selvatici, sui cuccioli, sulle mamme dei cuccioli e sui boschi.  .

La ruspa lavorò per mesi. 

Alla fine rimasero soltanto una vasca di fango e l'abete. Miracolosamente risparmiato dalla bramosia stereotipa per prati all'inglese, vialetti a record e piscina. Desideri mai realizzati. A proposito di idee poco chiare. 

Noi contemporanei siamo narcisisti, sempre assorbiti dal bisogno di soddisfare ogni impulso subito, non abbiamo la vista troppo lunga e non crediamo alla morte, in particolare alla nostra. Siamo tenacemente convinti che tutto sia rimpiazzabile con qualcosa di migliore, di più desiderabile appunto, distorciamo la realtà e siamo ingordi, vogliamo, vogliamo, e ci sentiamo defraudati quando non otteniamo.

I terreni del cortile sono tutti censiti come zona N1, ovvero terreni di conservazione e consolidamento delle risorse naturali, lo si può leggere in un'esaustiva relazione firmata da esperti e dalle autorità. Il concetto che esce dallo scritto sembra ispirarsi alla Torah, Dio ti dà il creato in custodia, lo devi amare e proteggere  e puoi goderne ma non ti appartiene.

Lettera morta.  

Allora nessuno difese gli alberi. Noi tentammo una segnalazione ma la risposta delle amministrazioni qui è invariabile,. nella proprietà privata ognuno fa quello che vuole.

Chi è d'origine contadina di frequente  nutre nei confronti degli alberi l'atavica diffidenza verso la natura demoniaca, Chi viene da fuori, dalla città, ha per l'appunto le idee poco chiare,  dopo un breve idillio, di solito  li taglia per praticità, per fare il posto macchina, per non doversene occupare.

La vasca di fango ad ogni modo si prese ogni cosa, desideri massificati e felicità familiari

Da quel lontano duemilatredici l'abete, ormai solitario ma sempre generoso e splendido, ha vegliato come ha potuto sulle nostre vite. fatte di  abbandoni e  ritorni, soldi per la spesa che non ci sono, malattie, nuove relazioni, cani segregati in affido Asl, abusi edilizi, sotterramenti di macerie, spazzatura, aggressioni, stupefacenti, bambini che si trasformano in adolescenti,, esibizione di pratiche erotiche a metà tra liberazione sessuale di un tempo che fu e costumi quasi perversi da classi dominanti. feste in odore di rave, e tutta una sfilata non proprio variopinta di disperati Insomma le vite balenghe di oggi, pezzi di qualcosa che non è mai un intero.

Quello dei disperati, insieme a quello dei cani ,e al sempre fiorente spaccio e consumo di droga, è uno dei business più lucrosi.. I disperati come i cani e l'eternit sono davvero una risorsa. Prospera in zona  il mercato degli affitti, ai disgraziati, in  alloggi comprati a due lire dagli speculatori, pratica che ha contribuito, insieme alla totale mancanza di servizi, a far crollare i prezzi degli immobili. Gli squali esultano, molti in compenso non possono andarsene, prigionieri delle loro stesse abitazioni e di una terra  che potrebbe essere da sogno ma è da incubo: cancri oltre ogni statistica, fanghi, illegalità diffusa, connivenza dei potenti e rifiuti Fallimento di territorio. Credo che tecnicamente si chiami così. 


Ad un certo punto, poco prima della pandemia, trovammo il coraggio e l'opportunità di andarcene,  l'abete però la sapeva lunga, immaginava, alla maniera in cui possono immaginare gli abeti,  che prima o poi saremmo tornati e, come nelle vere fiabe, ci lasciò, sulla porta di casa un dono magico. 

Un figlio, minuscolo, germogliato in segreto durante la nostra assenza. Lo ricoverammo dapprima in vaso e poi in terra, nel giardino,. non lo vedremo mai adulto. Né abbiamo certezze per la sorte che gli spetta. 

Ancora non mi rassegno, ancora mi fa male: era una domenica grigia, una domenica di novembre alla maniera di una volta, li vedemmo arrivare con il camion, le motoseghe, i cestelli, gli sghignazzi. Lo sghignazzare sembrava più un esorcismo, un prendere le distanze dal male. Forse un barlume di coscienza. 

Ora la notte gufi e allocchi e civette non ci fanno più compagnia,  e chissà dove sono andati. E' un'altra perdita. 

Alla fine di agosto abbiamo perso anche i due pini marittimi del cimitero,. Superstiti di quattro, i primi due soppressi senza motivo apparente, credo perché unico verde pubblico del Paesello, il verde pubblico richiede manutenzione, dunque spesa da tagliare. Ai sopravvissuti però vennero canagliescamente tagliate le radici, così, con l'arrivo della tromba d'aria, sono crollati a terra. Inermi. Una fine annunciata. E forse auspicata. In cambio il pubblico ha regalato alla cittadinanza una coppia di tuie in vaso, credo sia già la seconda o terza coppia che sostituisce le precedenti, non passano mai l'estate.  

La settimana dopo l'uccisione dell'abete abbiamo celebrato un  rito e comprato un piccolino della sua specie. In memoria del grande che forse è nella terra dei puri di cuore. Per chi ci crede. 

Arrivederci albero dal cuore puro  e buon Natale!  Ci manchi moltissimo!